Il caso
Un operaio, mentre è intento al lavoro in un cantiere edile, precipita nella tromba dell’ascensore e si procura gravissime lesioni. Agiscono per il risarcimento del danno sia lui, sia sua moglie; quest’ultima lamenta il danno non patrimoniale subito personalmente a seguito dell’accaduto. I giudici del merito respingono la domanda della donna nella considerazione che la domanda era stata da lei proposta sul presupposto del rapporto di coniugio, senza allegare altri fatti a fondamento, benché all’epoca del fatto i due erano soltanto fidanzati ed il matrimonio era sopravvenuto rispetto all’incidente; aggiungono pure che le conseguenze dannose a carico della signora erano derivate dalla sua scelta di contrarre matrimonio con un soggetto le cui lesioni s’erano già tutte determinate e consolidate.
La moglie propone, allora, ricorso per cassazione, per far valere, innanzitutto, di avere svolto l’originaria domanda con la precisazione che all’epoca dell’incidente lei ed il danneggiato già convivevano, sostenendo, altresì, che il successivo matrimonio comprovava la continuità e la stabilità della relazione e la scelta consapevole di sposare un soggetto leso è da porre in stretta relazione proprio con la natura di quel rapporto di convivenza che legittimava la richiesta di liquidazione del danno.
La decisione
La S.C. accoglie il ricorso. Dopo avere premesso l’evoluzione giurisprudenziale in merito al danno subito dalla c.d. vittima secondaria, in caso di sopravvivenza della vittima c.d. primaria, i giudici di legittimità fanno riferimento a quei precedenti che hanno riconosciuto hanno riconosciuto il diritto al risarcimento del danno da fatto illecito anche al convivente more uxorio del danneggiato, quando risulti dimostrata una relazione caratterizzata da tendenziale stabilità e da mutua assistenza morale e materiale.
In particolare, secondo la sentenza in commento il riferimento fatto ai “prossimi congiunti” della vittima c.d. primaria quali soggetti danneggiati iure proprio a cagione del carattere plurioffensivo dell’illecito, di cui alle decisioni meno recenti, deve oggi essere inteso nel senso che, in presenza di un saldo e duraturo legame affettivo tra questi ultimi e la vittima, è proprio la lesione che colpisce tale peculiare situazione affettiva a connotare l’ingiustizia del danno ed a rendere risarcibili le conseguenze pregiudizievoli che ne siano derivate (se ed in quanto queste siano allegate e dimostrate quale danno-conseguenza), a prescindere dall’esistenza di rapporti di parentela o affinità giuridicamente rilevanti come tali. Affinché si configuri la lesione di un interesse a rilevanza costituzionale, la convivenza non deve intendersi necessariamente come coabitazione, quanto piuttosto come stabile legame tra due persone, connotato da duratura e significativa comunanza di vita e di affetti.
In particolare, i riferimenti costituzionali non sono gli artt. 29 e 30 della Costituzione, si che detto legame debba essere necessariamente strutturato come un rapporto di coniugio, ed a questo debba somigliare, quanto piuttosto l’art. 2 Cost., che attribuisce rilevanza costituzionale alla sfera relazionale della persona, in quanto tale.
(Dalla rivista Danno e Responsabilità n. 7/2013)