Cassazione penale, sez. IV, 14 giugno 2012 (20 settembre 2012), n. 36272 – Pres. Brusco – Rel. Dovere
>La condotta del dipendente che si mette all’opera in grave stato di ebbrezza (nel caso di specie, con un tasso alcolemico pari a 2,40 grammi/litro) rappresenta una condotta colposa avente valore di concausa dell’infortunio, ma come tale non è idonea ad escludere la rilevanza causale delle omissioni cautelari addebitabili al datore di lavoro.
Il caso
Un datore di lavoro viene condannato, in primo ed in secondo grado di giudizio, per la morte di un dipendente precipitato da un vano finestra posto a cinque metri di altezza dal suolo, mentre era impegnato in lavori di sigillatura.
Non si comprende esattamente quale specifica operazione l’infortunato stesse eseguendo e, quindi, per quale ragione egli avesse perso l’equilibrio. Si accerta, invece, lo stato di ebbrezza del medesimo dipendente al momento dell’infortunio, con un tasso alcolemico pari a 2,40 grammi/litro, valore implicante una marcata alterazione delle performance psicofisiche, con disturbi di equilibrio, atassia, sensazione di instabilità ed ebbrezza. Pacifico, inoltre, è il difetto dei presidi cautelari anticaduta, volti a tutelare il lavoratore (anche) dai suoi stessi comportamenti imprudenti, negligenti o imperiti, con esclusione della sola condotta assolutamente abnorme: dette mancanze cautelari fondano la responsabilità datoriale.
Innanzi alla Cassazione l’imputato obietta, in particolare, che, proprio in ragione dello stato d’incapacità di intendere e volere, il lavoratore non sarebbe stato comunque in grado di apprezzare l’eventuale esistenza di presidi antinfortunistici e di utilizzarli correttamente, ove in dotazione. Le contestate omissioni del datore di lavoro, pertanto, avrebbero dovuto qualificarsi come “occasione” e non come “causa” dell’infortunio.
La decisione
La Suprema Corte respinge detta tesi difensiva, ritenendola puramente congetturale.
La verifica della capacità del comportamento alternativo lecito di evitare il prodursi dell’evento che l’ordinamento mira a prevenire (cd. giudizio contro-fattuale), infatti, va condotta alla luce del parametro della “elevata credibilità razionale”, il quale chiama in causa l’utilizzo di leggi scientifiche di copertura o di massime di esperienza riconosciute, che permettono di ricostruire in via ipotetica quale sarebbe stato il divenire ordinario degli eventi una volta assunte determinate premesse fattuali. Sicché il giudizio contro-fattuale non è di per sé incompatibile con la presenza di ipotesi alternative, che vanno però scartate ove non convalidate dalle citate massime di esperienza (e quindi meramente congetturali).
Orbene, secondo la Cassazione, che il lavoratore, dato lo stato di incapacità, si sarebbe privato della cintura di sicurezza (se fornita) o l’avrebbe usata in modo errato, ovvero che il medesimo dipendente non avrebbe posto le protezioni del piano di lavoro verso il vuoto, sono, appunto, ipotesi in linea astratta non incompatibili con la condizione di ebbrezza alcolica, ma certo non convalidate da massime di esperienza.
Pertanto, una volta accertato che il vano finestra entro il quale doveva operare il dipendente doveva essere provvisto di protezioni verso il vuoto, la Corte territoriale ha correttamente ritenuto che l’essersi posto all’opera in stato di ebbrezza rappresenta una condotta colposa del lavoratore avente valore di concausa dell’evento prodottosi, di per sé non idonea, tuttavia, ad escludere l’efficienza causale dell’inosservanza cautelare ascritta al datore di lavoro.
La condotta maldestra, inavvertita, scoordinata, confusionale per effetto dell’ebbrezza alcolica altro non è che un comportamento imprudente, per il quale anche è posto l’obbligo prevenzionistico del datore di lavoro. Giusta, quindi, è la condanna di questi nel caso specifico, non ricorrendo alcun comportamento anomalo del lavoratore qualificabile come causa da sola sufficiente a produrre l’evento.
(Tratto dalla rivista Danno e responsabilità 11/2012 – Ipsoa).