Cassazione penale, sez. IV, 20 settembre 2011 (5 ottobre 2011), n. 36067 – Pres. Brusco – Rel. Piccialli – Ric. C.

Per accusare il conducente di una autovettura di velocità eccessiva e, comunque, non consona allo stato dei luoghi (art. 141 C.d.S.), così da ritenerlo responsabile della morte occorsa a terzi in sinistro stradale, vanno accertatela prevedibilità della situazione di pericolo e la possibilità di avvistare detta situazione, che avrebbe dovuto indurre il conducente medesimo a rallentare.

Il caso

Per effetto di un precedente tamponamento, un autoarticolato si ferma in autostrada di traverso, ostruendo completamente il traffico nella carreggiata e lasciando pure cadere sull’asfalto parte dei fanghi di conceria trasportati. Una delle autovetture che sopraggiungono nella corsia di sorpasso non riesce ad arrestarsi e collide violentemente con l’autoarticolato: nell’urto muore la trasportata.

I giudici di primo e secondo grado addebitano il tragico evento al conducente di detta autovettura, sulla scia delle conclusioni del nominato CTU, secondo il quale l’imputato guidava ad una velocità non consentita e, comunque, non rispondente alla prudenza richiesta dalla situazione (art. 141 C.d.S.).

Detta velocità veniva dedotta dalle tracce di frenata sulla fanghiglia, che copriva il piano viabile a tratti, dalla posizione finale dell’automezzo e dalla violenza dell’impatto, superiore a quella di altri veicoli, pure coinvolti nell’incidente senza gravi conseguenze.

Innanzi alla Cassazione il ricorrente lamenta la manifesta illogicità della pronuncia d’appello, non solo perché non v’era certezza sulla velocità di marcia tenuta dall’imputato al momento del sinistro nonché sul limite di velocità da ritenersi consentito, ma soprattutto perché, onde accertare la congruità della velocità, bisognava tener conto dello stato dei luoghi, ma era pacifica l’assoluta imprevedibilità della situazione di pericolo originatasi dal primo tamponamento posto in essere dall’autoarticolato.

La decisione

La Suprema Corte ritiene evidente il vizio logico-giuridico della pronuncia d’appello, che accusa l’imputato di aver tenuto una velocità non consona allo stato dei luoghi, pur in presenza di circostanze di fatto del tutto imprevedibili.

Per la Cassazione resta valido il principio secondo cui il comportamento di chi ostruisce la carreggiata stradale, ponendosi di traverso con l’autovettura, non interrompe il nesso di casualità tra la condotta colposa dei conducenti dei veicoli sopraggiunti e gli eventi collisivi verificatisi; va condiviso, inoltre, che, in caso di infortunio subito da terzi, l’utente della strada è esente da penale responsabilità solo quando la sua condotta è immune da qualsiasi addebito e, dunque, semplice occasione dell’evento. Ma la colpa dell’agente – rileva pure la Corte – è ipotizzabile solo quando l’evento dannoso sia prevedibile ex ante, potendo l’agente avvertire in anticipo quello specifico sviluppo causale ed attivarsi per evitarlo; per l’eventuale condanna, inoltre, bisogna interrogarsi se la condotta appropriata (c.d. comportamento alternativo lecito) avrebbe o no evitato l’evento.

Orbene, la Cassazione avverte che il presunto eccesso di velocità è stato malamente ancorato dai giudici di merito a dati equivoci e, comunque, non determinanti, come quello sulla diversa entità delle conseguenze del tamponamento su altri veicoli, non meglio precisati.

In ogni modo, la sentenza impugnata prende atto che la situazione di pericolo in cui si era imbattuto l’imputato non era prevedibile: alla totale ostruzione della carreggiata ed alla fanghiglia a terra si erano aggiunte la «ridotta possibilità di avvistamento dell’autoarticolato posto di traverso, in quanto gli automobilisti che sopraggiungevano potevano solo intravedere i quattro catadiottri di colore giallo situati sulla fiancata desta dell’automezzo» ed la «conformazione curvilinea della strada». La medesima sentenza, pertanto, non può legittimamente addebitare all’imputato di aver tenuto una velocità inidonea alla detta (imprevedibile) situazione di pericolo.

(Tratto dalla rivista Danno e responsabilità 11/2011 – Ipsoa)

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