La recente sentenza della Corte di Cassazione (Sez. IV, 16 luglio 2015,  n. 31003) ha ribadito il principio, ormai consolidato, secondo cui, in materia di responsabilità amministrativa ex art. 25 septies d.lgs. 231/2001, l’interesse e/o il vantaggio vanno letti, nella prospettiva patrimoniale dell’ente, come risparmio di risorse economiche conseguente alla mancata predisposizione dello strumentario di sicurezza ovvero come incremento economico conseguente all’ aumento della produttività non ostacolata dal pedissequo rispetto della normativa prevenzionale [cfr. autorevolmente, per utili spunti, Sezioni unite, 24 aprile 2014, Espenhahn ed altri].

In altri termini, nei reati colposi l’interesse/vantaggio si ricollegano al risparmio nelle spese che l’ente dovrebbe sostenere per l’adozione delle misure precauzionali ovvero nell’agevolazione [sub specie, dell’aumento di produttività] che ne può derivare sempre per l’ente dallo sveltimento dell’attività lavorativa “favorita” dalla mancata osservanza della normativa cautelare, il cui rispetto, invece, tale attività avrebbe “rallentato” quantomeno nei tempi.

In questa prospettiva, la motivazione della condanna regge al vaglio di legittimità ove si consideri che da questa risulta che l’addebito colposo è stato basato anche e soprattutto nel non aver predisposto quel dispositivo di sicurezza, poi imposto dagli organi di vigilanza.

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