Chiuso fuori di casa senza cibo in varie occasioni, picchiato ripetutamente con il bastone, spogliato progressivamente dei suoi averi: è il quadro ricostruito dalla Procura di Pordenone per i quattro anni di convivenza di una coppia della Destra Tagliamento, dal 2011 al gennaio 2015.
Stavolta, però, nei panni della presunta vittima di maltrattamenti e circonvenzione d’incapace – questi i reati ipotizzati dagli inquirenti – c’è un uomo di 68 anni, affetto da un disturbo cognitivo maggiore di grado lieve-moderato.
Nel registro degli indagati, invece, è stata iscritta la sua ex convivente, di 63 anni. La donna è accusata anche di circonvenzione d’incapace perché stando agli inquirenti avrebbe indotto con varie lusinghe il suo convivente, 68 anni, a compiere una serie di atti patrimoniali a lui sfavorevoli.
Quanti soldi ci avrebbe rimesso? Al momento l’uomo, costituitosi parte civile con l’avvocato Fabio Gasparini, ha ottenuto il sequestro conservativo dei beni (mobili, immobili e crediti) della sua ex convivente per 150 mila euro.Si tratta di un caso più unico che raro: solitamente infatti non vengono disposti simili provvedimenti. Nella sua ordinanza il gip Roberta Bolzoni precisa però che sussistono pacificamente sia «un quadro indiziario concreto e preciso circa la sussistenza delle condotte poste in essere dall’indagata» in merito alla circonvenzione d’incapace, sia il rischio concreto e attuale della dispersione delle garanzie patrimoniali del debitore, cosa che non consentirebbe, in caso di sentenza di condanna, di soddisfare il credito vantato dalla parte civile.
L’ammontare definitivo della richiesta di risarcimento emergerà dall’istruttoria.
Il gup Bolzoni, lo scorso novembre, ha difatti rinviato a giudizio la 63enne per circonvenzione d’incapace e maltrattamenti in famiglia. Il processo comincerà il 14 febbraio dinanzi al giudice monocratico Piera Binotto. Secondo la tesi accusatoria l’indagata avrebbe chiesto sin dall’inizio della convivenza, nel 2011, somme per effettuare diverse spese e lavori di ristrutturazione della casa e si sarebbe fatta rilasciare la delega a operare sul conto a lui intestato. Quindi, sempre secondo la ricostruzione degli inquirenti, lo avrebbe indotto a vendere unità immobiliari per 125 mila euro e a versare 18 mila euro del ricavato su un deposito a risparmio nominativo sul conto cointestato sul quale, però, buona parte dei prelievi sarebbero stati fatti dalla donna. Tre mesi dopo il saldo del conto ammontava a 46 euro.
La Procura ritiene che altri 100 mila euro, ricavati dalla vendita, siano stati versati su un certificato di deposito della durata di sei mesi, poi confluito sul conto cointestato dal quale sono stati prelevati, fino al 2015, circa 59 mila euro.
(Dal Messaggero Veneto del 22.12.2017)